Σάββατο 1 Οκτωβρίου 2022

Il marinaio innamorato

 


Il marinaio innamorato

Un racconto di Costas Stoforos

 

Oje vita, oje vita mia...

oje core 'e chistu core...

si' stata 'o primmo ammore...

e 'o primmo e ll'ùrdemo sarraje pe' me!…

Aniello Califano, 'O surdato 'nnammurato di Enrico Cannio

La canzone non gli si toglieva dalla testa. Il fumo della città in fiamme gli faceva venire le lacrime agli occhi...

Questo era stato nel viaggio precedente. Una notte magica in riva al mare. Un gruppo di suoi amici la cantava. Questa canzone che li accompagnava in guerra. Napoletani erano...

 

Oje vita, oje vita mia...

oje core 'e chistu core...

si' stata 'o primmo ammore...

e 'o primmo e ll'ùrdemo sarraje pe' me!

Quanta notte nun te veco,

nun te sento 'int'a sti bbracce,

nun te vaso chesta faccia,

nun t'astregno forte 'mbraccio a me?

Ma, scetánnome 'a sti suonne,

mme faje chiagnere pe' te...

 

Così dolce. Con i suoi capelli neri e gli occhi color carbone fissi che ti infiammano il cuore. Una nobildonna di questa città. Di Smirne. E lui, Carlo, marinaio al suo primo viaggio. Dalla Calabria. La povertà lo aveva riportato via dal suo villaggio dopo la Grande Guerra e lo aveva portato sulle navi. Il mare portava il pane alla sua famiglia. Il mare stava lentamente cancellando le immagini dell'orrore nelle trincee della Grande Guerra.

Sul ponte della "Kostantinupolis" che era venuta a caricare le merci, ma sarebbe tornata vuota. L'orrore della guerra era tornato.

Diceva che non avrebbe più rivissuto l'orrore. Ma ora era tutto peggiore. Fuoco nei primi giorni, gente sul molo e poi disperazione. Cadaveri galleggianti. Uomini, donne, bambini...

 

Nell'orrore si vide avvicinarsi una barca. Davanti c'era un uomo incongruamente elegante tra le rovine. Con gli occhiali rotondi, l'abito e la borsa di pelle, sembrava che andasse in ufficio in un giorno feriale di settembre.

Chiese in inglese il permesso di salire a bordo della loro barca.

Il capitano lo lasciò salire. Forse pensava che fosse uno sconosciuto dell’azienda con cui collaboravano.

Carlo aveva imparato un bel pò di inglese a Roma nel 1919 quando si era ritrovato con dei compagni di guerra americani.

Origliò il dialogo che avveniva in una lingua italo-americana tra il capitano e il visitatore.

 

-Eiza Jennings, si presentò. Dall'YMCA (Associazione Cristiana dei Giovani Uomini). Volevo vedere se poteste prendere…

-Non esiste! Rispose il capitano senza lasciare che l'americano continuasse

- Ma...

- Gli ordini del mio governo sono chiari. Nessun aiuto a quelli che stanno sulla sponda!

- Posso darvi seimila lire - per duemila passeggeri

- Vi ho detto che non è possibile, ripeté il capitano, ma questa volta senza determinazione. Seimila lire erano una fortuna...

- Se vi porto un permesso scritto del console d'Italia?

-Hmmm... Allora le cose cambiano. Ma senza le lire dimenticatelo!

L'americano si inchinò leggermente e si affrettò ad andarsene.

- Aspetterò fino a domani mattina. Poi salperò, gli gridò da dietro il capitano.

Carlo corse in cucina.

-Alfredo, devi aiutarmi!

Compatrioti calabresi e amici cercavano da due giorni di persuadere l'equipaggio a muoversi e salvare alcuni degli sfortunati della Smirne in fiamme. Ma incontrarono un muro di indifferenza e paura.

- Ma se non ci ascolta nessuno, gli disse Alfredo che pensava che il suo amico si riferisse a questo piano.

Carlo gli spiegò cosa era successo...

-E cosa dobbiamo fare?

- Niente... Penso che l'americano ci riuscirà, ma Erinaki...

-Erinaki?

-Non posso sopportarlo. Andrò a trovarla a Smirne. Per portarla alla nave.

-Sei fuori di testa? Come hai intenzione di arrivarci? E se anche ci arrivassi. Dove la troverai? Capisci cosa sta succedendo?

-Non mi interessa. So dove trovarla! Voglio solo il tuo aiuto. Dobbiamo abbassare la barchetta senza che ci scoprano.

Alfredo rimase senza parole...

 

Con molta fatica il suo amico lo convinse e nel buio lo aiutò con un altro loro compagno dell'equipaggio ad abbassare la barca.

Carlo iniziò a remare verso la città. Sembrava che delle stelle in fiamme fossero cadute sulla terra. Se non fosse così orribile...

Arrivò in una zone della costa dove c’erano dei soldati turchi.

Carlo si era vestito elegante e fingeva di essere un diplomate. Mostrò anche la carta d'identità italiana, lasciò una buona mancia al sergente maggiore e promise di dargli di più se avesse trovato la sua barca al suo ritorno...

Ben presto si ritrovò in una città piena di fumo. Una nebbia grigia. "Qui si convien lasciare ogne sospetto; ogne viltà convien che qui sia morta"... Come gli vennero in mente questi versi al posto della sua canzone?

L'odore di bruciato, urla, gemiti e lamenti si diffondevano nel cielo scuro. Le lacrime gli riempirono gli occhi. Voci sparse, bestemmie arrivavano da ogni dove. Urla e parole di dolore. Battiti di mani, sussurri, grida, un rombo terribile come un'improvvisa tempesta di sabbia. Terrore. L'Inferno di Dante era apparso sulla Terra...

Stava cercando di evitare le strade principali. Difficilmente riusciva a trovare la sua strada. Stava cercando di non vedere i morti. Di togliersi dalla mente cosa fosse quel liquido scuro sull'acciottolato.

Di raggiungere Erinaki. Nel loro nascondiglio. In quel quartiere lontano. Dietro la chiesa. Nella capanna del giardiniere. Un capanno degli attrezzi che sembrava il posto più magico quando si sono baciati per la prima volta lì.

Non sapeva da dove venisse la certezza che l'avrebbe incontrata lì.

Improvvisamente una pattuglia gli fu di fronte. Gli puntarono le pistole.

-Italiano! Italiano! Gridò disperatamente. Mostrò di nuovo le sue carte. Gli chiesero una spiegazione. Un altra mancia. Lo lasciarono...

La sua bocca si era seccata. Il fumo ovunque dentro di lui. Sapore di cenere.

Un morto. Braccio disteso sulla strada. Un dito amputato. Il modo più semplice per rubare un anello.

Si ricordò le trincee. Le maschere. I morti nel fango dopo tempesta.

Continuò ad avanzare. Era come se vedesse il viso di lei davanti a lui che lo guidava.

Si stava avvicinando. Una brezza venne forte dal mare e schiarì un po' il cielo. Un odore di sale avvolse per un attimo la canoa. Poi si fermò di nuovo. Come se il mare avesse emesso il suo ultimo respiro prima di esanimarsi.

Arrivò alla chiesa. Si avvicinò al suo grande ingresso.

-No! No! No! Sentì una voce dall'interno ed entrò nell'oscurità.

-Vai via!

La stessa voce.

Mentra i suoi occhi si abituavano, vide uno spettacolo raccapricciante. Cadaveri impilati in fila.

Molti anni dopo, quando vide Guernica di Picasso, gli venne in mente questa immagine di quella notte di settembre.

-Vai via!

Quella voce l'avrebbe perseguitato. Che non aveva osato. Che l’aveva lasciata indietro.

Corse di nuovo nel buio. Raggiunse la capanna. Sembrava essere rimasta illesa nella distruzione.

Ci girò intorno con cautela e aprì la porta nascosta sul lato posteriore. Qui dentro l'oscurità era ancora più densa.

Ma gli giunse un odore. Il suo. Che odorava di noce fresca. Quando tagli la buccia e le tue mani diventano nere.

- Erinaki!

Silenzio…

Non ce la faceva più. Cadde in ginocchio, lasciando scorrere le lacrime a torrenti.

E poi sentì un leggero tocco sulla spalla

-Carlo… si udì un dolce sussurro e l'aroma di noce fresca si fece più intenso. La capanna si trasformò in una piccola arca. Lontano dagli orrori del mondo.

Si abbracciarono, si baciarono, piansero insieme...

- Potrebbe essere l'ultima notte, sussurrò lei.

I loro corpi si scoprirono reciprocamente. E il sapore era di nuovo come quello di noce. Con un po' di amarezza in sottofondo.

Dalla finestrella entrò un po’ di luce. Brillò nei suoi occhi. L'alba si stava avvicinando. Dovevano andarsene.

 

 

 

Per anni si è chiesto come fossero riusciti ad arrivare agli edifici sula costa dove stava radunando la gente quell’americano con gli occhialini. Sembrava che ci fosse riuscito.

Carlo gli affidò Irini e andò a cercare la sua barca.

Lei non voleva rimanere sola. Sentiva che quando erano insieme si nascondevano agli occhi del mondo. Erano nella loro nuvola di profumo di noce fresca che li rendeva invisibili...

Lui aveva fiducia cieca nell'americano. Senza sapere perché.

Nel tardo pomeriggio i duemila profughi si erano imbarcati nella “Kostantinoupolis”. Momenti strazianti. I turchi lasciavano passare solo donne e bambini. Cercavano uomini travestiti da donne.

Irini osservava con orrore le famiglie che si separavano. Chissà dov'erano i suoi. Per un momento pensò di non salire sulla barca. Come se avesse vissuto in un sogno fino ad allora e fosse arrivata l’ora di di svegliarsi...

Qualcuno la spinse allora. Si voltò e non vide nessuno. Le venne in mente la Madonna Myrtidiotissa. Tu dici?

Realtà o fantasia, quattro anni dopo, quando avrebbero battezzato la loro figlia nella chiesa di San Paolo dei Greci a Reggio Calabria, l'avrebbero chiamata Myrto, ma Carlo l'avrebbe sempre chiamata la sua "noce".

Mentre l’ancora veniva sollevata sapeva che non avrebbe mai più rivisto la sua città. E Carlo sapeva che avrebbe lasciato le barche (?).

Stavano viaggiando verso l'isola di Lesbo. L'inferno era dietro di loro, ma sarebbe rimasto dentro di loro per sempre.

 

 

- Tradotto dal Greco: Irene Porcino

Η μετάφραση στα ιταλικά έγινε από την Irene Porcino την οποία ευχαριστώ θερμά

- Prima pubblicazione su giornale Eleftheros Typos (Ελεύθερος Τύπος), 8/9/2022

https://eleftherostypos.gr/politismos/smyrni-100-chronia-meta-26-syngrafeis-ston-e-t-gia-ti-mikrasiatiki-katastrofi-pebti-08-9-oi-liana-sakeliou-kai-kostas-stoforos

 

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