Il marinaio innamorato
Un
racconto di Costas Stoforos
Oje vita, oje vita
mia...
oje core 'e chistu
core...
si' stata 'o primmo
ammore...
e 'o primmo e
ll'ùrdemo sarraje pe' me!…
Aniello Califano, 'O
surdato 'nnammurato di Enrico Cannio
La canzone non gli si
toglieva dalla testa. Il fumo della città in fiamme gli faceva venire le
lacrime agli occhi...
Questo era stato nel
viaggio precedente. Una notte magica in riva al mare. Un gruppo di suoi amici
la cantava. Questa canzone che li accompagnava in guerra. Napoletani erano...
Oje vita, oje vita mia...
oje core 'e chistu
core...
si' stata 'o primmo
ammore...
e 'o primmo e ll'ùrdemo
sarraje pe' me!
Quanta notte nun te veco,
nun te sento 'int'a sti
bbracce,
nun te vaso chesta
faccia,
nun t'astregno forte
'mbraccio a me?
Ma, scetánnome 'a sti
suonne,
mme faje chiagnere pe'
te...
Così dolce. Con i suoi
capelli neri e gli occhi color carbone fissi che ti infiammano il cuore. Una
nobildonna di questa città. Di Smirne. E lui, Carlo, marinaio al suo primo
viaggio. Dalla Calabria. La povertà lo aveva riportato via dal suo villaggio
dopo la Grande Guerra e lo aveva portato sulle navi. Il mare portava il pane
alla sua famiglia. Il mare stava lentamente cancellando le immagini dell'orrore
nelle trincee della Grande Guerra.
Sul ponte della
"Kostantinupolis" che era venuta a caricare le merci, ma sarebbe
tornata vuota. L'orrore della guerra era tornato.
Diceva che non avrebbe
più rivissuto l'orrore. Ma ora era tutto peggiore. Fuoco nei primi giorni, gente
sul molo e poi disperazione. Cadaveri galleggianti. Uomini, donne, bambini...
Nell'orrore si vide
avvicinarsi una barca. Davanti c'era un uomo incongruamente elegante tra le
rovine. Con gli occhiali rotondi, l'abito e la borsa di pelle, sembrava che andasse
in ufficio in un giorno feriale di settembre.
Chiese in inglese il
permesso di salire a bordo della loro barca.
Il capitano lo lasciò
salire. Forse pensava che fosse uno sconosciuto dell’azienda con cui
collaboravano.
Carlo aveva imparato un
bel pò di inglese a Roma nel 1919 quando si era ritrovato con dei compagni di
guerra americani.
Origliò il dialogo che
avveniva in una lingua italo-americana tra il capitano e il visitatore.
-Eiza Jennings, si
presentò. Dall'YMCA (Associazione Cristiana dei Giovani Uomini). Volevo vedere
se poteste prendere…
-Non esiste! Rispose il
capitano senza lasciare che l'americano continuasse
- Ma...
- Gli ordini del mio
governo sono chiari. Nessun aiuto a quelli che stanno sulla sponda!
- Posso darvi seimila
lire - per duemila passeggeri
- Vi ho detto che non è
possibile, ripeté il capitano, ma questa volta senza determinazione. Seimila
lire erano una fortuna...
- Se vi porto un permesso
scritto del console d'Italia?
-Hmmm... Allora le cose
cambiano. Ma senza le lire dimenticatelo!
L'americano si inchinò
leggermente e si affrettò ad andarsene.
- Aspetterò fino a domani
mattina. Poi salperò, gli gridò da dietro il capitano.
Carlo corse in cucina.
-Alfredo, devi aiutarmi!
Compatrioti calabresi e
amici cercavano da due giorni di persuadere l'equipaggio a muoversi e salvare
alcuni degli sfortunati della Smirne in fiamme. Ma incontrarono un muro di
indifferenza e paura.
- Ma se non ci ascolta
nessuno, gli disse Alfredo che pensava che il suo amico si riferisse a questo
piano.
Carlo gli spiegò cosa era
successo...
-E cosa dobbiamo fare?
- Niente... Penso che
l'americano ci riuscirà, ma Erinaki...
-Erinaki?
-Non posso sopportarlo.
Andrò a trovarla a Smirne. Per portarla alla nave.
-Sei fuori di testa? Come
hai intenzione di arrivarci? E se anche ci arrivassi. Dove la troverai? Capisci
cosa sta succedendo?
-Non mi interessa. So
dove trovarla! Voglio solo il tuo aiuto. Dobbiamo abbassare la barchetta senza
che ci scoprano.
Alfredo rimase senza
parole...
Con molta fatica il suo
amico lo convinse e nel buio lo aiutò con un altro loro compagno
dell'equipaggio ad abbassare la barca.
Carlo iniziò a remare
verso la città. Sembrava che delle stelle in fiamme fossero cadute sulla terra.
Se non fosse così orribile...
Arrivò in una zone della
costa dove c’erano dei soldati turchi.
Carlo si era vestito
elegante e fingeva di essere un diplomate. Mostrò anche la carta d'identità
italiana, lasciò una buona mancia al sergente maggiore e promise di dargli di
più se avesse trovato la sua barca al suo ritorno...
Ben presto si ritrovò in
una città piena di fumo. Una nebbia grigia. "Qui si convien lasciare ogne
sospetto; ogne viltà convien che qui sia morta"... Come gli vennero in
mente questi versi al posto della sua canzone?
L'odore di bruciato, urla,
gemiti e lamenti si diffondevano nel cielo scuro. Le lacrime gli riempirono gli
occhi. Voci sparse, bestemmie arrivavano da ogni dove. Urla e parole di dolore.
Battiti di mani, sussurri, grida, un rombo terribile come un'improvvisa
tempesta di sabbia. Terrore. L'Inferno di Dante era apparso sulla Terra...
Stava cercando di evitare
le strade principali. Difficilmente riusciva a trovare la sua strada. Stava
cercando di non vedere i morti. Di togliersi dalla mente cosa fosse quel
liquido scuro sull'acciottolato.
Di raggiungere Erinaki.
Nel loro nascondiglio. In quel quartiere lontano. Dietro la chiesa. Nella
capanna del giardiniere. Un capanno degli attrezzi che sembrava il posto più
magico quando si sono baciati per la prima volta lì.
Non sapeva da dove
venisse la certezza che l'avrebbe incontrata lì.
Improvvisamente una
pattuglia gli fu di fronte. Gli puntarono le pistole.
-Italiano! Italiano!
Gridò disperatamente. Mostrò di nuovo le sue carte. Gli chiesero una
spiegazione. Un altra mancia. Lo lasciarono...
La sua bocca si era
seccata. Il fumo ovunque dentro di lui. Sapore di cenere.
Un morto. Braccio disteso
sulla strada. Un dito amputato. Il modo più semplice per rubare un anello.
Si ricordò le trincee. Le
maschere. I morti nel fango dopo tempesta.
Continuò ad avanzare. Era
come se vedesse il viso di lei davanti a lui che lo guidava.
Si stava avvicinando. Una
brezza venne forte dal mare e schiarì un po' il cielo. Un odore di sale avvolse
per un attimo la canoa. Poi si fermò di nuovo. Come se il mare avesse emesso il
suo ultimo respiro prima di esanimarsi.
Arrivò alla chiesa. Si
avvicinò al suo grande ingresso.
-No! No! No! Sentì una
voce dall'interno ed entrò nell'oscurità.
-Vai via!
La stessa voce.
Mentra i suoi occhi si
abituavano, vide uno spettacolo raccapricciante. Cadaveri impilati in fila.
Molti anni dopo, quando
vide Guernica di Picasso, gli venne in mente questa immagine di quella notte di
settembre.
-Vai via!
Quella voce l'avrebbe
perseguitato. Che non aveva osato. Che l’aveva lasciata indietro.
Corse di nuovo nel buio.
Raggiunse la capanna. Sembrava essere rimasta illesa nella distruzione.
Ci girò intorno con
cautela e aprì la porta nascosta sul lato posteriore. Qui dentro l'oscurità era
ancora più densa.
Ma gli giunse un odore.
Il suo. Che odorava di noce fresca. Quando tagli la buccia e le tue mani
diventano nere.
- Erinaki!
Silenzio…
Non ce la faceva più.
Cadde in ginocchio, lasciando scorrere le lacrime a torrenti.
E poi sentì un leggero
tocco sulla spalla
-Carlo… si udì un dolce sussurro
e l'aroma di noce fresca si fece più intenso. La capanna si trasformò in una
piccola arca. Lontano dagli orrori del mondo.
Si abbracciarono, si
baciarono, piansero insieme...
- Potrebbe essere
l'ultima notte, sussurrò lei.
I loro corpi si scoprirono
reciprocamente. E il sapore era di nuovo come quello di noce. Con un po' di
amarezza in sottofondo.
Dalla finestrella entrò
un po’ di luce. Brillò nei suoi occhi. L'alba si stava avvicinando. Dovevano
andarsene.
Per anni si è chiesto
come fossero riusciti ad arrivare agli edifici sula costa dove stava radunando
la gente quell’americano con gli occhialini. Sembrava che ci fosse riuscito.
Carlo gli affidò Irini e
andò a cercare la sua barca.
Lei non voleva rimanere
sola. Sentiva che quando erano insieme si nascondevano agli occhi del mondo.
Erano nella loro nuvola di profumo di noce fresca che li rendeva invisibili...
Lui aveva fiducia cieca
nell'americano. Senza sapere perché.
Nel tardo pomeriggio i
duemila profughi si erano imbarcati nella “Kostantinoupolis”. Momenti
strazianti. I turchi lasciavano passare solo donne e bambini. Cercavano uomini
travestiti da donne.
Irini osservava con
orrore le famiglie che si separavano. Chissà dov'erano i suoi. Per un momento
pensò di non salire sulla barca. Come se avesse vissuto in un sogno fino ad
allora e fosse arrivata l’ora di di svegliarsi...
Qualcuno la spinse
allora. Si voltò e non vide nessuno. Le venne in mente la Madonna
Myrtidiotissa. Tu dici?
Realtà o fantasia,
quattro anni dopo, quando avrebbero battezzato la loro figlia nella chiesa di
San Paolo dei Greci a Reggio Calabria, l'avrebbero chiamata Myrto, ma Carlo
l'avrebbe sempre chiamata la sua "noce".
Mentre l’ancora veniva
sollevata sapeva che non avrebbe mai più rivisto la sua città. E Carlo sapeva
che avrebbe lasciato le barche (?).
Stavano viaggiando verso
l'isola di Lesbo. L'inferno era dietro di loro, ma sarebbe rimasto dentro di
loro per sempre.
- Tradotto
dal Greco: Irene Porcino
Η μετάφραση στα
ιταλικά έγινε από την Irene Porcino την οποία ευχαριστώ θερμά
- Prima pubblicazione su giornale Eleftheros Typos (Ελεύθερος Τύπος), 8/9/2022
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